domenica 6 marzo 2011

Rosa Vercellana, la regina de La Mandria

Rosa Vercellana nacque a Nizza Marittima il 3 giugno 1833 da Teresa Griglio e da Giovanni Battista Vercellana, originario di Moncalvo d'Asti, militare di carriera. Ebbe due fratelli: Adelaide e Domenico. Il padre fu tamburo maggiore nelle guardie di re Carlo Alberto di Savoia. Nel 1847 la famiglia viveva a Racconigi, dove il padre di Rosa comandava il presidio della tenuta di caccia. Qui la ragazza incontrò per la prima volta Vittorio Emanuele II, ancora principe ereditario, ma già sposato, con cinque figli, con Maria Adelaide d'Asburgo Lorena; Vittorio Emanuele aveva 27 anni, Rosina appena 14. Sulle circostanze dell'incontro esistono versioni diverse; in ogni caso i primi incontri furono clandestini, per non sfidare l'opposizione del padre Carlo Alberto e le leggi che proibivano severamente il "rapimento" di ragazze di età inferiore ai 16 anni. La quattordicenne Rosina, che non sapeva leggere e scrivere e parlava solo il piemontese, andò per questo a vivere in una dipendenza del parco della palazzina di caccia di Stupinigi. Nonostante la relazione con Rosa Vercellana, il re non trascurò i doveri coniugali né le numerose amanti da cui ebbe parecchi figli, molti dei quali riconosciuti. Ma mentre le altre relazioni ebbero breve durata e si conclusero quasi tutte con un nulla di fatto (se non la nascita di alcuni figli) e una pensione economica, quella con Rosa continuò per tutta la vita. Sua antagonista d’eccellenza fu, non a caso, Laura Bon (1825-1904), una delle più belle, più acclamate e popolari artiste drammatiche, intelligentissima, colta, delicata d’animo e di cuore, che Rosa Vercellana seppe, con grande maestria e con l’aiuto di spie, escludere dagli affetti del suo amato avvisandolo di una relazione che la Bon aveva con un altro gentiluomo. Da Rosa Vittorio Emanuele ebbe due figli: Vittoria, nata il 2 dicembre 1848, un anno dopo il loro primo incontro, ed Emanuele Alberto, nato il 16 marzo 1851. La relazione fra colei che tutti chiamano la Bela Rosin e il principe Vittorio Emanuele, diventato re nel 1849, fece scandalo e fu avversata sia dai nobili che dai politici, specialmente dopo la morte della regina consorte, avvenuta nel 1855. Ma Vittorio Emanuele non cedette e l'11 aprile 1858 nominò Rosa Vercellana contessa di Mirafiori e Fontanafredda, comprando per lei il castello di Sommariva Perno. Con lo stesso decreto assegnò il cognome Guerrieri ai figli. Nel 1869, il re si ammalò e temendo di morire sposò Rosa Vercellana il 18 ottobre, con il solo rito religioso (che non conferiva alla Vercellana nessuno dei diritti e poteri di regina). Dopo il matrimonio il re guarì e per qualche anno i due formarono una coppia regolarmente sposata. Il matrimonio civile avvenne il 7 ottobre 1877, a Roma. Rosa Vercellana diventò moglie del re, ma non regina, (matrimonio morganatico). Due mesi dopo, il 9 gennaio 1878, Vittorio Emanuele morì. Lei gli sopravvisse fino al 26 dicembre 1885, trascorrendo gli ultimi anni della sua vita (morì di meningite fulminante) nel palazzo Feltrami di Pisa, che il re aveva acquistato per la figlia Vittoria. Per lei a Torino, i figli, edificarono il mausoleo della Bela Rosin in quanto la Casa Reale le negò il diritto di riposare col marito al Pantheon, non essendo mai stata regina. Per la loro unione Vittorio Emanuele fece, già a partire dal 1860, riadattare i bellissimi Appartamenti Reali del Castello de La Mandria, segno tangibile della costituzione di un nuovo nucleo familiare, voluto e sancito dal re in opposizione a tutti gli obblighi di corte e d’immagine regale. Era lei che acquistava camicie, pantaloni e giacche per uso venatorio del re, era lei che lo aiutava a togliersi gli abiti “di gala” per metterlo a suo agio in abiti più comodi quando giungeva alla Mandria, era sempre lei ad ordinare la birra per i festeggiamenti organizzati alla Villa dei Laghi (reposoir di caccia nel parco de La Mandria), a lei il re chiedeva di preparare manicaretti squisiti da servire ai suoi ospiti (i tajarin, gli amatissimi fagioli con le focacce, ecc.), infine era lei che lo accompagnava a teatro, nelle serate di gala, sollevando polemiche e malumori della corte. Giunonica, forte e prosperosa, le cui forme, a stento contenute negli abiti, davano l’impressione di essere sul punto di fuoriuscirne. Esagerata nell’abbigliamento, priva di qualsiasi eleganza innata o costruita, amava ricoprirsi di gioielli che il re le regalava. A lei, così come ai due figli Vittoria ed Emanuele Alberto, il re non sapeva dire di no, le spese sostenute per loro erano ingenti. Così per il primo matrimonio della figlia avvenuto alla Mandria, così per il matrimonio avvenuto nel 1872 a Villa La Petraia (Firenze) per l’amatissimo figlio, per il quale il padre non badò a spese. Lei, soltanto lei, gli seppe rimanere sempre accanto, se pur defilata, nella consapevolezza e nel rispetto del ruolo che ricopriva. Gli accessi negati a Palazzo Reale, Palazzo Pitti e al Quirinale non vennero visti da lei come un’offesa, ma più come una nuova possibilità per mettere alla prova l’amore del suo sposo, il quale non le negò mai di rimanergli accanto offrendole i rispettivi Castello de La Mandria (TO), Villa La Petraia (FI) e Villa Mirafiori (RM). Dall’altro, seppe trarre tutti i vantaggi da questa unione: la garanzia di un titolo nobiliare a vita per lei e per i suoi discendenti, il titolo di conte e di cavaliere per suo cugino, Natale Aghemo, poi divenuto capo di gabinetto del re. Eppure isolata e disprezzata dai nobili, Rosa Vercellana fu invece amata dal popolo per le sue origini contadine: si dice che la canzone popolare risorgimentale "la bela Gigogin" si riferisse in realtà a lei. La si ricorda, se pur costantemente osteggiata dai ministri del Regno, come donna allegra e solare, senza pretese intellettuali, eccessiva sicuramente nel gusto dell’abbigliamento, ma sempre affettivamente sincera nei confronti di Vittorio Emanuele II; il cui affetto veniva registrato come “l’amore vero, che resiste ad ogni prova, che indulge e perdona”. Un amore che durò tutta una vita.

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