martedì 26 aprile 2011

La gestione forestale e delle alberate nel Parco regionale La Mandria

Lo si sente dire spesso ai contadini “quando c’era il Marchese (i Medici del Vascello sono stati gli ultimi proprietari della Mandria prima che la acquistasse la Regione Piemonte) lui sì che li faceva tenere puliti i boschi” oppure “fate entrare noi contadini e la manutenzione del bosco la facciamo noi” e poi, scuotendo la testa, se ne vanno borbottando che siamo degli incapaci. E’ veramente difficile spiegare a chi da una vita si occupa di manutenzione del territorio agricolo – i contadini - come la trasformazione della Tenuta agricola La Mandria in Parco regionale La Mandria avvenuta alla fine degli anni ’70, ne abbia cambiato completamente la gestione forestale. Gli alberi morti, i rami secchi, le piante cadute, non si devono infatti asportare dal bosco perché la “necromassa” costituisce un materiale importantissimo per la biodiversità forestale. La letteratura esistente è tantissima, basta digitare “necromassa forestale” in un qualunque motore di ricerca per ottenere via internet tantissime informazioni in materia. Ecco perché se è comprensibile il disappunto degli agricoltori diventa assolutamente criticabile che ad esprimere certe posizioni siano i rappresentanti delle associazioni agricole. Si può poi affrontare il tema della gestione delle alberate del Parco, alcune delle quali chiuse da qualche mese. Innanzitutto bisogna sfatare un mito: su 40 km di viali nel parco solo 6 sono attualmente chiusi. Tra questi purtroppo il viale d’accesso dall’ingresso principale detto Viale dei Roveri per via delle antiche Farnie (circa 200 anni) che lo compongono. Per adottare un metodo di gestione che fosse condiviso dalla gran parte degli esperti del settore l’Ente Parco insieme ad altri enti pubblici e privati che di ciò si occupano ha istituito un gruppo di lavoro (“sicuramente alberi”) che ha elaborato un protocollo e poi lo ha discusso pubblicamente in un convegno che ha attirato partecipanti e relatori da tutta italia (http://www.comune.torino.it/verdepubblico/2010/alberi10/procedure-per-la-gestione-del-rischio-di-caduta-al.shtml). Dal punto di vista normativo inoltre il Parco ha dovuto sperimentale la nuova normativa relativa alla Valutazione di Incidenza prevista dalla trasformazione de La Mandria in un SIC (Sito di Importanza Comunitaria); gli alberi di Viale Roveri costituiscono infatti l’habitat di tutta una serie di esseri viventi (http://www.societabotanicaitaliana.it/uploaded/1177.pdf) e alla luce di ciò ogni operazione manutentiva, anche una semplice potatura, deve essere oggetto di appositi controlli e ottenere una valutazione positiva da parte dell’ente di controllo superiore (la Regione Piemonte). Nonostante la celerità con cui l’Ente Parco si è mosso per ottenere questa risposta positiva essa è giunta non più di 7 giorni fa e l’ente sta celermente procedendo a rendere operative le indicazioni del parere regionale e aprire al più presto anche l’ultima parte dei percorsi ancora chiusi. Infine c’è il problema di tenere “ordinati” i circa 1000 ettari di territorio visibili dai percorsi aperti al pubblico. Questo lavoro è in gran parte affidato ai contadini che affittano i terreni ma nonostante ciò i chilometri di banchine da sfalciare di cui si deve occupare il Parco restano tantissimi. L’Ente Parco però, da quest’anno, è privo dei 500.000 euro che tutti gli anni la Regione Piemonte dava a IPLA per le manutenzioni forestali del Parco tramite una “convenzione a tre”. Questa mancanza si somma ad altri tagli, ingenti, che hanno ridotto al minimo la possibilità di azione dell’Ente che ha quindi scelto di prediligere la manutenzione dei prati e delle banchine delle aree dedicate ai fruitori e ai tanti cittadini attesi per il picnic di pasquetta.

domenica 24 aprile 2011

Danni da cinghiale e richiesta di commissariamento

Inverno 2010-2011, i problemi tra la Giunta Regionale e quella provinciale portano ad uno stallo quasi completo dell'abbattimento dei cinghiali. Il Parco, rimasto l'unico ad arginare il problema, diviene il capo espriatorio della situazione. L'attacco però, infondato, non porterà alcuna conseguenza.

Tg3 del 24 aprile 2011, ore 19,30

lunedì 14 marzo 2011

Il 2011 e il Parco regionale La Mandria

Conferenza stampa di presentazione congiunta con la Città di Venaria Reale dei nuovi allestimenti degli Appartamenti Reali del Castello de La Mandria e degli eventi per il 150° anniversario dell'Unità d'Italia Il 2011 rappresenta per l’Italia un anno straordinario, un anno ricco di occasioni per ripensare a noi, alla nostra storia, alla nostra identità di italiani. Una storia e una identità che nel tempo si possono modificare, se non nei fatti, almeno nella percezione che noi ne abbiamo. Se è quindi giusto riaffermare i valori su cui i nostri genitori hanno fondato l’Unità d’Italia è altrettanto giusto insegnare alle generazioni future a riconoscere i segni che la storia nazionale ha lasciato sul nostro territorio, a farli propri, e a fruirne nella vita quotidiana rispettandone però l’idea originaria. Il Parco la Mandria rappresenta proprio uno di questi segni - un segno forte - e ripercorrerne la storia è come ripercorrere alcune fondamentali tappe della storia d’Italia. Voglio ricordarne qui solo due momenti salienti. Nel 1861 Vittorio Emanuele II acquista 3600 ha di territorio, quasi tutto boscato, in parte solcato da quelle rotte di caccia tracciate nei secoli da architetti di corte quali Castellamonte e Juvarra, e li cinta con un lungo muro – 36 km - per farne la propria riserva di caccia privata. All’interno di quel muro già esistevano alcune cascine e un ricetto medievale, una chiesetta preziosissima, una torre di guardia, i resti della Druento medievale e una costruzione del secolo precedente che serviva per l’allevamento dei cavalli. Vittorio Emanuele ordina di trasformare questa tenuta, regimandone le acque, creando dei laghi e un sistema di irrigazione capillare, realizzando cascine da dedicare ai figli avuti dalla Bella Rosina, un galoppatoio per continuare ed ampliare l’attività di allevamento equino, la “stambeccaia” per acclimatarvi animali abituati alle alte quote e vi importa animali di specie esotiche, come il cervo wapiti di origine canadese, creando un giardino zoologico. La più grande trasformazione però la fa tra le mura del Borgo Castello dove le dimore degli stallieri devono diventare adatte ad accogliere la sua seconda famiglia. Per fare questo amplia l’edificio, lo dota delle migliori “modernità” (il bagno sulla verandina accanto alle camere da letto, la luce ad acetilene nella sala del biliardo) e fa arredare le stanze del primo piano superiore dai più famosi ebanisti, stuccatori, tappezzieri dell’epoca. Nascono così quegli ambienti noti come Appartamenti Reali del Castello de La Mandria, che nel 1997 l’Unesco ha riconosciuto Bene dell’Umanità nell’ambito del sito Residenze Sabaude e che hanno acquisito un valore ancora maggiore da quando, nell’aprile 2008, un incendio scoppiato nel Castello di Moncalieri, ha fatto sì che gli Appartamenti Reali restassero una tra le più significative residenze sabaude ottocentesche ancora in ottime condizioni di conservazione . L’altro momento importante che intendo ricordare qui è il 1978, anno in cui la Regione Piemonte, dopo aver acquistato quella parte di tenuta che i proprietari Medici del Vascello ancora non avevano alienato, istituisce il Parco regionale La Mandria. Questo atto sancisce infatti da un lato l’importanza fondamentale della foresta planiziale qui conservata e ormai quasi del tutto scomparsa nel resto della Pianura Padana, dall’altro l’importanza della presenza dell’Ente Regione e della sua azione di tutela non solo sull’ambiente ma anche sul paesaggio storico. Il 2011 straordinariamente riunisce in sé due appuntamenti di valore unico collegati ai momenti storici citati: il 150enario dell’Unità d’Italia e l’Anno Internazionale delle Foreste indetto dall’ONU per mobilitare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle problematiche forestali. Due occasioni quindi che vedono il Parco La Mandria protagonista. Ma mentre l’Anno Internazionale delle Foreste sarà adeguatamente affrontato in eventi successivi oggi siamo qui, insieme alla Città di Venaria Reale, per ricordare la prima delle due ricorrenze. L’Ente di gestione del Parco infatti ha inteso festeggiare l’Unità d’Italia ricordandone il padre fondatore, Vittorio Emanuele II, e valorizzando con appropriati allestimenti i luoghi in cui amava abitare; anche la scelta della data di oggi non è casuale: il 14 marzo è infatti il giorno del compleanno di Vittorio Emanuele II. I nuovi allestimenti presentati sono stati scelti perché aiutano a sottolineare il clima di intimità che regnava in questa dimora, volutamente con caratteri borghesi, nonostante il grande valore degli arredi: la Camera da Letto del Re, unico arredo che Umberto I tenne per sé quando decise di vendere la tenuta, portandola a Palazzo Reale, ed un prezioso servizio da tavola già delle collezioni della Real Casa. Il fascino di questo luogo infatti è tutto qui, nell’accostamento inaspettato di oggetti di raffinata bellezza ad una quotidiana normalità, giunti fino a noi come se il tempo non fosse mai trascorso. Gli Appartamenti Reali inoltre, grazie al finanziamento della Consulta regionale per le celebrazioni del centocinquantenario, mediante fondi messi a disposizione del Consiglio regionale, sono anche oggetto da parte dell’Ente Parco di due importanti modifiche: la sostituzione del vecchio impianto elettrico con l’inserimento di nuove luci di ultima generazione che permetteranno di illuminare gli Appartamenti Reali senza privarli della loro autenticità e la creazione di una bussola di ingresso nell’androne centrale per un utilizzo più razionale ed economico anche della Sala conferenze. Prosegue quindi, pur nella scarsità di risorse, la cura incessante dell’Ente per questa “casa museo” che rappresenta il cuore storico dell’intero Parco. Questi due interventi saranno oggetto, prossimamente, di una nuova presentazione alla stampa. Infine l’Ente Parco ha organizzato una serie di eventi per il pubblico che sono stati pensati, e vengono oggi presentati, unitamente a quelli realizzati dalla Città di Venaria. Come dice il titolo della giornata di oggi “Insieme nella storia, Uniti nel futuro” infatti, le due amministrazioni si sono riconosciute nella comune determinazione di ricordare la grande “storia d’Italia” e la piccola storia locale che ci unisce, studiarla e approfondirla per poi trasmetterla insieme ai giovani cittadini e ai turisti/fruitori che giungono da altri luoghi e che verranno accolti insieme dall’Ente Parco La Mandria e dalla Città di Venaria Reale.

domenica 6 marzo 2011

Rosa Vercellana, la regina de La Mandria

Rosa Vercellana nacque a Nizza Marittima il 3 giugno 1833 da Teresa Griglio e da Giovanni Battista Vercellana, originario di Moncalvo d'Asti, militare di carriera. Ebbe due fratelli: Adelaide e Domenico. Il padre fu tamburo maggiore nelle guardie di re Carlo Alberto di Savoia. Nel 1847 la famiglia viveva a Racconigi, dove il padre di Rosa comandava il presidio della tenuta di caccia. Qui la ragazza incontrò per la prima volta Vittorio Emanuele II, ancora principe ereditario, ma già sposato, con cinque figli, con Maria Adelaide d'Asburgo Lorena; Vittorio Emanuele aveva 27 anni, Rosina appena 14. Sulle circostanze dell'incontro esistono versioni diverse; in ogni caso i primi incontri furono clandestini, per non sfidare l'opposizione del padre Carlo Alberto e le leggi che proibivano severamente il "rapimento" di ragazze di età inferiore ai 16 anni. La quattordicenne Rosina, che non sapeva leggere e scrivere e parlava solo il piemontese, andò per questo a vivere in una dipendenza del parco della palazzina di caccia di Stupinigi. Nonostante la relazione con Rosa Vercellana, il re non trascurò i doveri coniugali né le numerose amanti da cui ebbe parecchi figli, molti dei quali riconosciuti. Ma mentre le altre relazioni ebbero breve durata e si conclusero quasi tutte con un nulla di fatto (se non la nascita di alcuni figli) e una pensione economica, quella con Rosa continuò per tutta la vita. Sua antagonista d’eccellenza fu, non a caso, Laura Bon (1825-1904), una delle più belle, più acclamate e popolari artiste drammatiche, intelligentissima, colta, delicata d’animo e di cuore, che Rosa Vercellana seppe, con grande maestria e con l’aiuto di spie, escludere dagli affetti del suo amato avvisandolo di una relazione che la Bon aveva con un altro gentiluomo. Da Rosa Vittorio Emanuele ebbe due figli: Vittoria, nata il 2 dicembre 1848, un anno dopo il loro primo incontro, ed Emanuele Alberto, nato il 16 marzo 1851. La relazione fra colei che tutti chiamano la Bela Rosin e il principe Vittorio Emanuele, diventato re nel 1849, fece scandalo e fu avversata sia dai nobili che dai politici, specialmente dopo la morte della regina consorte, avvenuta nel 1855. Ma Vittorio Emanuele non cedette e l'11 aprile 1858 nominò Rosa Vercellana contessa di Mirafiori e Fontanafredda, comprando per lei il castello di Sommariva Perno. Con lo stesso decreto assegnò il cognome Guerrieri ai figli. Nel 1869, il re si ammalò e temendo di morire sposò Rosa Vercellana il 18 ottobre, con il solo rito religioso (che non conferiva alla Vercellana nessuno dei diritti e poteri di regina). Dopo il matrimonio il re guarì e per qualche anno i due formarono una coppia regolarmente sposata. Il matrimonio civile avvenne il 7 ottobre 1877, a Roma. Rosa Vercellana diventò moglie del re, ma non regina, (matrimonio morganatico). Due mesi dopo, il 9 gennaio 1878, Vittorio Emanuele morì. Lei gli sopravvisse fino al 26 dicembre 1885, trascorrendo gli ultimi anni della sua vita (morì di meningite fulminante) nel palazzo Feltrami di Pisa, che il re aveva acquistato per la figlia Vittoria. Per lei a Torino, i figli, edificarono il mausoleo della Bela Rosin in quanto la Casa Reale le negò il diritto di riposare col marito al Pantheon, non essendo mai stata regina. Per la loro unione Vittorio Emanuele fece, già a partire dal 1860, riadattare i bellissimi Appartamenti Reali del Castello de La Mandria, segno tangibile della costituzione di un nuovo nucleo familiare, voluto e sancito dal re in opposizione a tutti gli obblighi di corte e d’immagine regale. Era lei che acquistava camicie, pantaloni e giacche per uso venatorio del re, era lei che lo aiutava a togliersi gli abiti “di gala” per metterlo a suo agio in abiti più comodi quando giungeva alla Mandria, era sempre lei ad ordinare la birra per i festeggiamenti organizzati alla Villa dei Laghi (reposoir di caccia nel parco de La Mandria), a lei il re chiedeva di preparare manicaretti squisiti da servire ai suoi ospiti (i tajarin, gli amatissimi fagioli con le focacce, ecc.), infine era lei che lo accompagnava a teatro, nelle serate di gala, sollevando polemiche e malumori della corte. Giunonica, forte e prosperosa, le cui forme, a stento contenute negli abiti, davano l’impressione di essere sul punto di fuoriuscirne. Esagerata nell’abbigliamento, priva di qualsiasi eleganza innata o costruita, amava ricoprirsi di gioielli che il re le regalava. A lei, così come ai due figli Vittoria ed Emanuele Alberto, il re non sapeva dire di no, le spese sostenute per loro erano ingenti. Così per il primo matrimonio della figlia avvenuto alla Mandria, così per il matrimonio avvenuto nel 1872 a Villa La Petraia (Firenze) per l’amatissimo figlio, per il quale il padre non badò a spese. Lei, soltanto lei, gli seppe rimanere sempre accanto, se pur defilata, nella consapevolezza e nel rispetto del ruolo che ricopriva. Gli accessi negati a Palazzo Reale, Palazzo Pitti e al Quirinale non vennero visti da lei come un’offesa, ma più come una nuova possibilità per mettere alla prova l’amore del suo sposo, il quale non le negò mai di rimanergli accanto offrendole i rispettivi Castello de La Mandria (TO), Villa La Petraia (FI) e Villa Mirafiori (RM). Dall’altro, seppe trarre tutti i vantaggi da questa unione: la garanzia di un titolo nobiliare a vita per lei e per i suoi discendenti, il titolo di conte e di cavaliere per suo cugino, Natale Aghemo, poi divenuto capo di gabinetto del re. Eppure isolata e disprezzata dai nobili, Rosa Vercellana fu invece amata dal popolo per le sue origini contadine: si dice che la canzone popolare risorgimentale "la bela Gigogin" si riferisse in realtà a lei. La si ricorda, se pur costantemente osteggiata dai ministri del Regno, come donna allegra e solare, senza pretese intellettuali, eccessiva sicuramente nel gusto dell’abbigliamento, ma sempre affettivamente sincera nei confronti di Vittorio Emanuele II; il cui affetto veniva registrato come “l’amore vero, che resiste ad ogni prova, che indulge e perdona”. Un amore che durò tutta una vita.

giovedì 17 febbraio 2011

Ecco perchè non sostengo Fassino

Ho 41 anni. 2 figlie. Uno studio professionale. Ed ho partecipato agli incontri dei rottamatori di Albinea e di Firenze. Ascoltavo le persone che portavano le loro esperienze e le ammiravo. Nel frattempo però mi rendevo conto che quello che stava accadendo era una rivoluzione “dall’interno”. Perché le persone su quei palchi, a parlare, appartenevano tutte al sistema PD. Qualcuno cooptato (come me, nominata al terzo anno di tesseramento alla guida di un ente regionale), qualcuno – anche tra gli organizzatori - eletto a furor di popolo (e di appoggi bancari, giornalistici, ecc), qualcuno semplice gregario che parlava senza mai avere amministrato in prima persona. Poi tanti amministratori minori, inseriti in liste elettorali in virtù di qualche capobastone che ne aveva chiesto l’inserimento. Tutti però, almeno ad ascoltare le loro relazioni, di grande valore personale e capacità amministrativa e politica. Tutti che chiedevano spazi per parlare dei temi che stavano loro a cuore. A quasi quattro anni dalla fondazione del Pd mi sono convinta che la forza di questo grande partito sia proprio nella voglia di creare dall’interno le regole per il cambiamento, nella consapevolezza che tutti coloro che hanno almeno 30 anni, se hanno già mosso dei passi nella loro carriera politica, lo hanno fatto grazie alle vecchie logiche che oggi vengono criticate. Non credo che nessuno possa tirarsi fuori. Meno che mai chi a Roma ci è arrivato 30 anni fa. Meno che mai chi amministra grandi città come Torino. Quello che mi viene raccontato del funzionamento dei sindacati di allora, e della politica interna ai grandi partiti del passato, non è più edificante di quanto si è fatto nella seconda repubblica. Ecco perché ho deciso di non basare le mie scelte per queste primarie torinesi sul pregresso dei candidati ma su cosa rappresentano per il presente e, soprattutto, per il futuro. C’è chi dice che Gariglio, e i suoi sostenitori Laus e Placido, rappresentino i signori delle tessere torinesi e che per questo motivo rappresentino una politica vecchia. Io ho visto una prima fila al Lingotto che rappresenta il mondo del potere torinese e che di nuovo non ha proprio nulla. Ho visto 350 persone mai viste nei circoli del pd torinese mettersi in fila per firmare a sostegno di una candidatura in un convegno organizzato dalla famiglia Gallo e, poco dopo, ho letto che ci sarebbe una poltrona pronta in una municipalizzata per il capostipite di quella famiglia. Io non ci vedo nulla di nuovo, in questa politica. E non vedo alcun coraggio né vento di novità in un partito che tacitamente dichiara di non essere stato in grado di preparare giovani per amministrare la città se accetta di venire messo sotto tutela da Roma. Eppure Torino è governata dal centro sinistra da quattro mandati. Eppure la Provincia è saldamente in mano al centro sinistra. Eppure, se le elezioni regionali sono state perse con onore, il partito democratico lo deve proprio a coloro che - ricoprendo il proprio ruolo all’interno del consiglio con coerenza e determinazione - hanno visto ricompensato il proprio lavoro da una grande affermazione personale. Accettare che Roma sostenga di dover ricompattare il partito con una candidatura di prestigio mi offende, e dovrebbe offendere tutti coloro che guardando verso Roma non vedono tra i dirigenti del partito democratico alcun segno di compattezza. Ero a Firenze quando migliaia di rottamatori applaudivano Civati e Renzi che chiedevano il rispetto del limite dei mandati per i parlamentari. Pensavo che ciò significasse una richiesta autentica di ricambio – generazionale o no – e non una ricollocazione di coloro che a Roma risiedono da 30 anni. Questo non perché non riconosca a Fassino capacità personali e lucidità di pensiero, ma perché la gente – i cittadini tanto citati dai rottamatori – continuano a dire che “i politici sono tutti uguali” e che “se l’Italia è a questo punto è colpa sia della destra che della sinistra”. Io francamente, spesso, non so cosa rispondere loro: la legge sul conflitto di interessi è ancora da fare, la fiducia al governo è stata votata troppe volte, le riforme sugli stipendi dei parlamentari hanno avuto esito negativo, alcune leggi nefande sono state approvate perché la minoranza non era in aula e noi, purtroppo, non siamo in grado di spiegare a tutti gli elettori i ragionamenti politici che hanno permesso tutto questo. Anche l’alternarsi Veltroni-Franceschini-Bersani è difficile da capire visto da Torino, così come i tentennamenti legati all’eventuale caduta del Governo. Quando Fassino è sceso in campo mi sono tornate in mente le scene in bianco e nero dei primi telegiornali della mia infanzia: lui era già là e già allora andava davanti a Mirafiori per intercettare i voti degli operai. Io oggi faccio la libera professionista e né Fassino né altri suoi coetanei – politicamente parlando – si sono mai spesi per la mia categoria. Anzi. Quando l’ho rivisto a Mirafiori sono stata colta dalla rabbia e ho pensato “adesso basta!”. Non me ne vogliano gli operai Fiat, ma penso di esistere anch’io. Sono convinta che presentare Fassino sia una scelta perdente, per le elezioni (il centro destra alle ultime regionali è stato in grado di batterci anche perché ha schierato volti nuovi), per il nostro partito (che deve avere fiducia nei suoi giovani, anche se figli delle logiche del passato) e per il nostro futuro. Non perché Fassino sia sessantenne ma perché il mondo in cui si è formato è quello di 40 anni fa e non ho visto, finora, alcuna capacità di innovazione nel suo modo di vedere la società.